Ispirato nel titolo dai versi di Vittorio Sereni, Cara Europa che ci guardi (1915-2015) così è raccontato dall’autore: “Ho allestito una mappa mentale e sentimentale di un’Europa personale e insieme storica, guidata solo da qualcosa che potrei chiamare istinto, o da un pensiero non strutturato e fluttuante, da un ritmo spiazzante e sbandato. In questo spazio geografico e immaginario ho provato a scavare un breve percorso rabdomantico, più che altro per lampi o fosforescenze, usando bussole e seguendo frecce d’orientamento e cartelli topografici del tutto personali o scelti dalla memoria senza un centro. Altri avrei potuto farne di viaggetti in questo spazio e altri ne potrei fare, ma solo questo che traccio è diventato necessario, cioè scritto”. Perché, come scrive John Donne, “nessun uomo è un’isola” e “ogni uomo è un pezzo del continente”.
Non è un romanzo, non è un saggio, non è un diario di viaggio, ma è tutto questo e qualche cosa di più. Un’esperienza letteraria originale e sorprendente, una serie di riflessioni illuminanti dei nostri anni.